PAROLACCE, come sopravvivere senza perdere l’autostima genitoriale

bambini e parolacce

PAROLACCE, come sopravvivere senza perdere l’autostima genitoriale

Le parolacce sono nella top 10 delle richieste di aiuto dei genitori. Anche io, come mamma, ho dovuto attraversare quel periodo, poco simpatico, in cui il tuo tenero angioletto riesce a snocciolare le parolacce più volgari e creative.

Tempo di lettura: 7′

Ecco le strategie che ho usato per uscire dalla fase delle parolacce, con un’autostima genitoriale ancora in piedi.

A cosa servono le parolacce e perché i bambini ne sono così attratti.

Le parolacce sono tra gli argomenti che più mandano in crisi i genitori, anche quelli, come me che, faccio outing, talvolta le dico e ne percepiscono il valore emotivo.

Eh sì perché una cosa è certa, anche se pochi si prendono la briga di approfondire, le parolacce sono uno strumento emotivamente utile per scaricare rabbia e tensioni.

Quando mio figlio Gregorio, il più piccolo, aveva tre anni, cominciò a dire le parolacce. Ne era così affascinato che arrivò addirittura a comporci delle canzoncine. Io ero in terribile imbarazzo, talvolta fingevo addirittura di non conoscerlo. Il mio bambino così dolce e tollerante, si era trasformato in uno scaricatore di porto, io ero impreparata e confusa e le mie azioni educative, di conseguenza, erano confuse e inefficaci.

Mi sentivo inadeguata e direttamente responsabile di quel disastro. Ero talmente in crisi che non riuscivo ad ascoltare il messaggio celato dietro il suo comportamento: guardami.

Gregorio è il terzo figlio, arrivato dopo il ciclone Leonardo che fin dalla nascita ha accentrato tutte le mie attenzioni.

Solare e pacifico, Greg è sempre stato un bambino comodo e in questa comodità io mi ero un po’… come dire… seduta. Le parolacce quindi sono diventate la sua strategia efficace per farsi vedere, per emergere dall’ombra dei fratelli maggiori.

Non lo faceva quindi con l’intento di ferire o sfidare, era molto piccolo non capiva neppure il significato di ciò che stava dicendo, però aveva capito che alcuni vocaboli scatenavano mie reazioni verso di lui, evidentemente doveva trovarle molto buffe e interessanti.

Ma come si innesca questo meccanismo perverso?

I piccoli apprendono per imitazione ed essendo molto attenti alle nostre reazioni, tendono a ripetere i comportamenti eclatanti e quelli che attirano verso di loro ogni forma di attenzione.
Anche nelle famiglie molto attente capita che scappi un’imprecazione e come non possiamo crocifiggere noi stessi in quei momenti, suggerisco una buona dose di comprensione anche verso i nostri figli.

Ma perché andiamo così in tilt quando nostro figlio spara una imprecazione?

Perchè ci sentiamo giudicati come genitori deboli e incapaci, soprattutto se abbiamo scelto un approccio educativo più accogliente, più “moderno”.

La parolaccia è la dimostrazione che il nostro metodo non funziona e che la profezia “Diventerà un selvaggio senza regole né limiti” si sta avverando.

Il turpiloquio è considerato un chiaro indizio di maleducazione che fa vacillare anche il genitore più empatico e assertivo, eppure le parolacce sono sempre esistite,
Dagli albori della storia l’uomo ha cercato espressioni efficaci – le cosiddette parolacce – per esprimere rabbia e sdegno. è molto probabile che già gli uomini della preistoria tirassero degli accidenti” quando si facevano male o litigavano tra loro ma è certo che il turpiloquio fu sdoganato dagli Antichi Egizi in poi come testimoniano i reperti storici.

Greci e Romani usavano continuamente insulti e imprecazioni.

I muri di Pompei per esempio sono pieni di scritte volgari.

Gli antichi romani infatti scrivevano parolacce e insulti sui muri all’aperto, ma anche nelle case private, nei locali pubblici e nelle scuole di Roma.

La più antica parolaccia in italiano volgare risale all’11 secolo ed è scritta su un affresco sacro nella basilica di San Clemente in Laterano. I

Anche la letteratura è ricca di espressioni colorite. da Omero in poi poeti e scrittori non hanno disdegnato il ricorso all’epiteto forte e molti di voi ricorderanno alcuni versi dell’inferno di Dante a dir poco: coloriti.

Insomma, è evidente che gli esseri umani usano le parolacce per sfogare rabbia, odio, indignazione o frustrazione.

E questo, a mio avviso, potrebbe essere già una opportunità per concedere ai bambini delle attenuanti senza condurli sul rogo alla prima imprecazione.

Ma c’è di più: secondo Freud l’invenzione degli insulti, è un segno evidente di progresso evolutivo: piuttosto che bastonarsi gli uomini hanno attivato questa strategia per scaricare l’aggressività. quando i bambini cominciano a dire parolacce significa quindi che hanno acquisito una competenza linguistica importante, di fatto dovremmo essere fieri e orgogliosi.

Proviamo a fare appello a questo, stacchiamo il piede dall’acceleratore della BUONA EDUCAZIONE, quella si costruisce con il buon esempio, per esempio… e con la maturazione.

Questo non significa permettere il libero turpiloquio senza controllo, significa accompagnarli verso un comportamento più adeguato ma senza drammatizzare o enfatizzare perchè, come abbiamo visto più e più volte ormai, più le reazioni sono eclatanti, maggiore è la possibilità che il comportamento indesiderato venga ripetuto.

Le parolacce quindi sono le parole delle emozioni forti, censurarle senza cercare di comprenderne il significato interiore, è come intimare al bambino di smettere di piangere senza preoccuparci di cosa gli sia accaduto.

Come comportarci quindi quando i nostri figli, di qualsiasi età, imprecano?

È importante non generalizzare ma osservarli e ascoltarli con attenzione per comprendere il motivo e il contesto nel quale utilizzano le parolacce: per sfogarsi? Come esclamazione? Per insultare e ferire gli altri? Oppure per divertimento? La parolaccia è un escamotage usato da quasi tutti i comici per strappare una risata e anche tra adulti la trivialità è un modo veloce per creare un clima informale e amichevole.

Le prime volte che dalla bocca del tuo bambino usciranno “parole sporche” fai un bel respiro, ricordati che “l’energia va dove c’è attenzione” quindi tanta attenzione destinerai alle sue esclamazioni e di altrettanta energia di caricheranno.

Questo vale anche con bambini più grandi e con gli adolescenti.
“Fanfullo!” dice il figlio.
“C’è qualcosa che non va?” può rispondere il genitore.
Questa frase, apparentemente banale, offre immediatamente una possibilità di ascolto, significa “Ok, sono qui, ho capito che c’è qualcosa che non va, possiamo parlarne”.
“C’è qualcosa che non va?” non è giudicante.

Esordire con frasi tipo “Non dire parolacce” oppure “Sei impazzito?” o “Sei un maleducato!” dicono subito al bambino o al ragazzo, che così non va bene, che non ci piace. Queste sono informazioni che possiamo dare in seguito, prima dobbiamo occuparci della sua emozione perché il rischio è che si convinca che è meglio non parlare apertamente di che quello che sta provando, perché non viene accettato.

Ricordate: le parolacce sono le parole delle emozioni forti.

Prima di agire con strategie utili a modificare quel comportamento quindi, è fondamentale attivare una comprensione profonda delle loro emozioni. Può essere che un bambino scelga la via del turpiloquio non solo per attirare l’attenzione su di sé ma anche per scaricare rabbia, evitando di mordere o picchiare. O che un adolescente preferisca imprecare piuttosto che cedere all’impulso di rovesciare la scrivania. Punirli per questo è controproducente.

È più efficace fargli notare l’impegno nel non usare l’aggressività fisica, riconoscendo in primis un miglioramento nella sua manifestazione della collera, concentrandosi poi su cosa lo ha portato a usare quelle parole forti, quando avremo risolto il problema interiore allora avremo conquistato la sua fiducia e potremo spiegargli l’effetto negativo delle sue parole senza giudizio.

Isabelle Filliozat, una psicoterapeuta francese che approfondisce nei suoi libri la conoscenza sulle emozioni dei bambini, definisce gli insulti: parole sasso.

Le parole feriscono l’anima e l’autostima delle persone, raccontare ai bambini che sono come dei sassi lanciati contro gli altri, li aiuta a comprendere con una immagine molto diretta, gli effetti di un insulto.
I bambini hanno bisogno di spiegazioni semplici e chiare piuttosto che divieti secchi o, peggio, di sgridate che li mortificano e che li spingono, per rabbia e risentimento, a comportarsi ancora peggio.

La scelta educativa più efficace quindi non è quella censurare ma quella di spiegare il significato di certe parole e perché non vengono accettate in società.

Chiarisci anche la differenza tra le parolacce liberatorie, quelle che scappano quando pesti il ditone contro lo stipite della porta e anche quelle di soddisfazione, quelle usate per intercalare, che però non si possono dire dappertutto e gli insulti, quelli che purtroppo usiamo per ferire gli altri, quelli che fanno male come i sassi, appunto.

Ci sono azioni positive che possiamo fare, stando in osservazione e ascolto dei nostri figli, dopo la spiegazione dei diversi significati per esempio ricordati di lodare il buon linguaggio. La lode costruisce fiducia, piacere e rispetto reciproco.

C’è anche un aspetto divertente e creativo, ripeto spesso che il gioco è la strategia più efficace per disinnescare comportamenti spiacevoli, piuttosto che punire e sgridare. Cercate insieme parole alternative, che sostituiscano le parolacce. Nella mia famiglia quelle più in voga sono: capsula, zio gatto e porca paletta.

E in ogni caso, concentrati prima sull’emozione che c’è alla base di una parolaccia piuttosto che partire con il sapone in mano per lavargli la bocca.


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